martedì 19 dicembre 2006

Sul timore di definirsi conservatori - Il grande inganno della sinistra

Se c’è una cosa che spicca con particolare chiarezza dal dibattito politico per come si svolge in Italia, è la ritrosia di troppi esponenti di centrodestra nel definirsi conservatori. Ad un primo sguardo, o meglio ad uno sguardo rivolto al problema con ingenuità, questo sembra molto strano. Perché persone come i nostri attuali politici dovrebbero aver paura di definirsi per quello che, spesso, sono?
Perché, quando si vuole evocare poteri più o meno occulti che vorrebbero mantenere inalterato lo status quo in un determinato ambito, si parla genericamente di “forze conservatrici”?
Perché, è presto detto, le varie culture di sinistra e specialmente quella della sinistra massimalista e della componente radical-chic, purtroppo dominanti in sede accademica oltre che a livello mediatico, sono riuscite a far identificare all’italiano medio l’idea di conservazione con quella di una presunta immobilità sociale e con la repressione sistematica di ogni impulso di innovazione, più o meno libertaria, a livello individuale e collettivo. Con la cristallizzazione, quindi, delle differenze socio-economiche per cui il potere e la ricchezza dovrebbero rimanere, secondo i “conservatori” come volutamente malintesi dalla sinistra, sempre patrimonio delle stesse classi (inteso, questo termine, nel significato che può avere oggi…) e, anche localmente, delle stesse famiglie e delle stesse persone. Ed inoltre a far identificare, nel comune sentire di molti italiani, l’idea di conservazione con l’innalzamento di barricate volte a contrastare chiunque esprima un’idea di vita e di libertà diversa da quella che il conservatore fa propria, a fronte della presunta apertura mentale e culturale tipica dei progressisti, che invece, per inciso, non faticano affatto a definirsi tali. Il tipico conservatore quale stigmatizzato da questa pseudo-cultura utilizzerebbe quindi tutto, valori compresi, in funzione strumentale al mantenimento del potere economico e politico, relegando chi non fa parte della propria aggregazione settaria al triste ruolo di sfruttato, diciamo pure di moderno suddito.
Peggio: la sinistra è riuscita nel tempo a legare nell’immaginario dell’italiano la parola conservatore, riferita questa volta anche all’uomo comune che si considera tale, ad una figura di uomo bigotto, culturalmente e mentalmente arretrato, ridicolo nella sua volontà di mantenere intatto il rispetto verso valori decrepiti e non più sentiti come propri dalla società. E naturalmente, manco a dirlo, spesso fortemente clericale.
In tre parole, un ridicolo nostalgico.
È innegabile, e sarebbe stupido negarlo, come fino ad oggi l’operazione pseudo-culturale operata a livello di idem sentire della collettività dalla sinistra, sia riuscita splendidamente bene, a tal punto che i conservatori stessi si definiscono raramente (1) con questo termine, fino a poco tempo fa addirittura desueto nel gergo dei politici di destra. Una precisazione: l’aggettivo “pseudo-culturale” l’operazione in questione lo merita pienamente, perché non è cultura, ma è al contrario falsa cultura, o mistificazione che dir si voglia, spacciare il non vero per vero, o dipingere una realtà diversa da quella concretamente esistente. Attenzione però: individuando l’italiano medio quale vittima di una mistificazione non intendo, come invece fa la presunta (prima di tutti da sé stessa) élite culturale di sinistra, considerarlo come un povero sottoculturato che bisogna educare e portare per mano alla scoperta della “Verità Progressista Rivelata”. Questo è un vecchio ma mai abbandonato convincimento progressista, l’italiano però non è questo, e lo ha spesso dimostrato in barba alla cocciutaggine della sinistra nel considerarlo tale. La realtà è che si è spontaneamente quanto incolpevolmente convinto della bontà delle argomentazioni dirette a dimostrare la coincidenza del conservatore con l’immagine che la sinistra di esso ha voluto dipingere (2).
Compito di una forza politica di centrodestra, che voglia realmente cambiare in meglio il nostro Paese, è convincere gli italiani che esiste un’altra verità che è più attinente ai fatti per quelli che essi sono in concreto ma che fino ad oggi ha avuto meno voce, a causa del già ricordato predominio culturale della sinistra, tale però, si badi bene, solo in termini puramente quantitativi. E cioè convincerli che oggi conservatore può dirsi anche chiunque voglia mantenere vivi e vegeti i valori storicamente fondanti la civiltà europea, e quindi quella italiana, perché ne riconosce la grande valenza e riconosce allo stesso tempo come innegabile il grande sviluppo economico, culturale e sociale che essi hanno permesso alle nazioni europee. Allo stesso tempo questa forza politica dovrebbe rendere chiaro agli italiani, e soprattutto ai meno abbienti e ai meno favoriti socialmente, che essere per la conservazione e la difesa di determinati valori ben si accompagna, e direi, anzi, naturalmente si accompagna alla garanzia di un reale liberismo in economia, anche se corretto in funzione della realtà sociale, alla creazione di migliori condizioni di crescita culturale e professionale per tutti, per giungere ad una forma di società in cui nessuno si senta frustrato a causa del ruolo che svolge. Perché in una società sana ogni ruolo che sia rispettoso della integrità morale e fisica e del benessere altrui è degno di essere altamente considerato e quindi riconosciuto utile alla crescita comune. Bisogna dimostrare di essere per la meritocrazia ma senza farne una religione, perché il merito spesso non è solo frutto della volontà più o meno forte e benigna di ognuno, ma è spesso il risultato concreto di situazioni di maggior favore economico e/o sociale. Con un gioco di parole di cui chiedo scusa in anticipo, direi che è meritorio essere per la meritocrazia, ma nella consapevolezza che il merito è spesso determinato in concreto anche da elementi esterni rispetto alla buona volontà e al duro lavoro del singolo.
Questo ben sapendo che l’uomo spesso vuole più di quanto gli spetti.
Attuare quanto sopra è terribilmente difficile e complicato, nessuno può negarlo. Creare una società e un sistema che pur nel riconoscere il merito del singolo, come regola generale, di quello stesso singolo sappia allo stesso tempo valutare con umanità e cristiana (3) pietà anche le mancanze è di certo un obiettivo molto ambizioso. Eppure, per quanto titanica l’impresa possa sembrare, tentarla dovrebbe essere un punto d’onore per ogni uomo che si consideri civile e che senta il bene della società come imperativo morale.
Ancora, una forza autenticamente popolare dovrebbe dimostrare di avere un concetto liberale dell’economia quale mezzo indispensabile al fine del conseguimento del benessere sociale, ma rifiutando allo stesso tempo una visione economizzante dell’essere umano e dei rapporti sociali. Profitto quale mezzo per una società benestante e quindi più serena, ma assolutamente non come valore al quale improntare la propria esistenza. Risparmio come mezzo per un’esistenza libera e dignitosa, ed una vecchiaia serena e con meno preoccupazioni possibile, non come accumulazione insensata e volta solo al gusto di sapersi più ricchi di altri.
Il (liberal)conservatore, così come inteso nelle sue varie versioni, dalla classica alle moderne neo-con e/o teo-con statunitensi, i "liberal assaliti dalla realtà" alla Kristol per intenderci, deve sempre porre a base del suo agire un sistema omogeneo di valori che è ormai riduttivo ed intellettualmente limitante ridurre ai soli, seppur imprescindibili, cardini: Dio, Patria, Famiglia. Aggiungerei ad esempio Solidarietà, Umanità, Fratellanza, Onestà, Onore. E non mi si venga a dire che tutti questi valori sono sempre presenti nelle varie “ways of thinking” conservatrici, perché chiunque abbia studiato con attenzione la materia non può non aver notato come traspaia dalle parole e dai concetti una certa diffidenza verso il prossimo ed in particolare verso lo straniero, specialmente se immigrato. Questo non è compatibile con una visione cristiana e men che mai cattolica della vita, per quanto possa nei singoli casi essere ampiamente giustificato, a meno di non voler asservire e quindi strumentalizzare i valori cristiani nei confronti di categorie ad essi gerarchicamente inferiori.
Conservatori di determinati valori quindi, non certo dello status quo sociale. In questo senso, ritengo che la grande maggioranza degli italiani possa a ragione, una volta cadute le barriere culturali erette da certa sinistra, dirsi orgogliosamente conservatrice.
Seppur non esaustivamente, penso che, fra le tante che sarebbero adatte allo scopo, valga a descrivere il pensiero conservatore una bellissima frase di Antonio Aparisi y Guijarro scrittore e politico spagnolo del diciannovesimo secolo: "Vengo da molto lontano, ma vado molto avanti. Voglio conservare i princìpi immortali dei nostri padri, il fuoco sacro della società. Ricevo l’eredità dei nostri padri con beneficio di inventario; il buono è mio, il male lo scarto...”.
L’augurio è che il futuro partito unico, che potrebbe nascere dall’aggregazione delle forze oggi componenti il polo di centrodestra, possa con orgoglio definirsi conservatore e, senza farne elemento di esclusione, cristiano. I presupposti socio-culturali oggi ci sono e finalmente anche in Italia sembra maturata, da più parti e non solo in ambito politico, una visione delle cose riconducibile sempre più spesso, pur con gli ovvi distinguo da caso a caso, alla cultura conservatrice.
In questo senso, e di fronte alla chiara esistenza di un ancora malfermo neoconservatorismo italiano, che vedo come occasione storica per portare il Paese verso una nuova politica meno intrisa di political correctness nei confronti di determinati problemi/tabù (4) e con più elementi di concretezza tipicamente conservatrice, ritengo un errore la presa di posizione del pur intelligente e validissimo Casini, anche se giustificata da motivazioni di non poco conto relative ai rapporti interni alla coalizione di centrodestra.
Presto preparerò una breve esemplificazione di realtà culturali conservatrici, con esempi riguardanti singole individualità e realtà associative presenti nel variegato mondo del Web.


(1) Per un esempio in senso contrario all’atteggiamento tenuto dai più si legga il libro di Alfredo Mantovano "Ritorno all'Occidente. Bloc-notes di un conservatore", 2004, Editore Spirali Edizioni.
(2) Naturalmente le ragioni dell'attuale ritrosia a definirsi conservatori sono anche altre e affondano le loro radici in tempi precedenti il predominio culturale sinistrorso, ma trattarne qui, o meglio adesso, esulerebbe da quella che dovrebbe essere la dimensione tipo di un post, e confliggerebbe seriamente con i miei progetti serali... Prometto in futuro di trattarne.
(3) Si può ancora scrivere questo termine senza venire additati come reazionari e antiliberali, chissà poi perchè, dal laicista di turno?
(4) Nei confronti di singoli temi, si badi, non certo nei confronti dei politici fra loro. Il dibattito politico inteso come contraddittorio, per così dire, fra gli esponenti dei partiti, non è certo politically correct...

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