mercoledì 13 dicembre 2006

Introduzione a Terzo Millennio

Ho sempre odiato le introduzioni. Non so perché, ma mi riesce terribilmente difficile leggerle fino in fondo. Forse perché quando il tema trattato da un testo mi interessa non vedo l’ora di entrarne nel vivo, o forse solo perché le prime introduzioni che mi è capitato di leggere erano come libri nei libri, e devo ammettere che la prolissità non è fra le cose che preferisco in un autore.Per non smentirmi clamorosamente, diventando subito prolisso e confermando l’italianissima regola senza tempo (ma soltanto italiana...?) per cui non costituisce difetto per sé stessi fare ciò che si rimprovera agli altri, andrò subito al punto.

Il nome del blog è temporaneo e sarà probabilmente cambiato, ma il blog è e resterà legato ad un'associazione culturale che si chiama proprio Terzo Millennio.
Il nome scelto per l'associazione, Terzo Millennio, vuole ricordare la grande importanza della sfida che il millennio da poco iniziato ci pone, e porrà alle generazioni future: riuscire a mantenere viva la nostra identità culturale pur tenendo il passo del progresso tecnologico e degli sviluppi in ambito economico e, conseguentemente, facendo fronte alla ricaduta che i mutamenti a tutto questo conseguenti avranno sulla stabilità delle strutture sociali. Perché la globalizzazione economica e dell’informazione non diventi anche globalizzazione, e quindi annullamento, delle culture.
Inoltre, se qualcuno banalmente leggesse in "Terzo Millennio" un chiaro riferimento al Cristianesimo, coglierebbe nel segno: è ferma intenzione degli associati difendere, anche su queste pagine, l'innegabilità ed il grande valore storico, etico e spirituale delle radici cristiane, più precisamente giudaico-cristiane, d'Europa.
Lo scopo che mi prefiggo è di riuscire a comunicare al lettore la mia visione dei mali della società occidentale e quelle che ritengo essere le degenerazioni di un sistema che preso nella sua versione, o fase, più moderata, purtroppo, a mio parere, necessariamente limitata nel tempo, poteva seriamente rappresentare un eccellente connubio fra libertà e regole, come fra attenzione verso l’individuo e considerazione delle istanze della società nel suo complesso. Si sarebbe dovuto, però, cristallizzare un periodo, un’epoca. L’epoca in cui la crescita economica e la “turboglobalizzazione” della società, parafrasando Luttwak, non avevano ancora intaccato, almeno non irreparabilmente, le strutture di una società tradizionale che aveva di buono molto più di quanto avesse di cattivo. Cristallizzare non è però possibile, e non è comunque positivo, se è vero che la Storia è evoluzione, e purtroppo spesso anche involuzione, del pensiero umano. Si tratta allora di definire, individuare e quindi difendere i valori che, nonostante le trasformazioni sociali ed economiche che inevitabilmente si susseguiranno nel tempo, costituiranno, ed hanno storicamente costituito, un “nucleo etico” con caratteri di stabilità e continuità. Un punto di riferimento valoriale che, pur lasciando un certo spazio di manovra al meccanismo dell’interpretazione, come è naturale che sia, venga così fermamente sentito come vitale per la sopravvivenza della società da indurre l’interprete a non superare i limiti oltre i quali esso sarebbe leso nella sua essenza. Si potrebbe obiettare che questi valori già esistono e che, ad esempio, la famiglia, il rispetto della vita umana, l’appartenenza ad una cultura, ad un’etnìa, si sono dimostrati valori stabili e duraturi perché riconosciuti come fondamentali da innumerevoli generazioni di esseri umani. È facile però rispondere che raramente, forse mai, nella storia dell’Occidente questi valori sono stati minacciati dall'interno con tanta violenza, con tanta furia distruttrice, come in quest’epoca: per quanto la mia sia una convinzione opinabile, credo fermamente che ci troviamo davanti ad un attacco, specialmente contro la componente giudaico-cristiana del nostro essere europei, superiore in pericolosità a quello portato dall'Illuminismo e quindi dalla Rivoluzione Francese. Se non altro per il fatto che oggi la scienza consente, almeno in potenza, stravolgimenti allora inimmaginabili.
Non è facile definire la società occidentale per come è oggi. O meglio: le definizioni sarebbero tante e tutte più o meno rispondenti alla realtà fattuale, ma trovarne una onnicomprensiva è davvero arduo. Forse “estraniante” è la parola giusta seppur insufficiente, come del resto come tutte le soluzioni di compromesso, a descriverla. Estraniante perchè allontana l’uomo dal suo essere più vero, imponendogli un habitus che, a voler considerare il tutto con obiettività, non gli fa onore, se si considera l’uomo stesso, ogni uomo, come un essere depositario di una particolare dignità che nel Creato, con buona pace dei difensori ad oltranza dei diritti degli animali, nella sua specificazione di livello più elevato spetta solo ad esso (a proposito, per chi la pensasse diversamente... http://www.proyectogransimio.org/, ne riparleremo...).
Del sistema, intendendo con sistema il complesso delle strutture socio-economiche e le sue dinamiche interne di funzionamento, l’uomo di oggi è allo stesso tempo fruitore ed oggetto. Fruitore, nel momento in cui ogni suo desiderio sembra soddisfabile, e da soddisfare, dal sistema a prescindere da ogni considerazione che sia esterna al solo soddisfacimento del desiderio stesso. Oggetto, proprio perché nel momento in cui la fruizione del sistema, in ipso tempore con il soddisfacimento del desiderio, diviene prioritaria rispetto ad ogni considerazione di ordine morale, il soggetto viene posto dal sistema stesso nella posizione di ingranaggio che in un circolo vizioso permette, con i suoi continui desideri da soddisfare, il funzionamento del complesso meccanismo di cui sopra.Ingranaggio senz’anima né vera volontà.È evidente, ad un buon osservatore della nostra società, come entrambe le condizioni di fruitore e oggetto del sistema in cui si trova oggi l'homo occidentalis si compenetrino a vicenda e come tutto ciò sia teso a qualcosa di terribilmente misero: il profitto. Di chi, lo vedremo nel tempo...
Attenzione: per chi scrive il profitto in sé, considerato come semplice parte fra tante altre dell’esistenza umana, non è affatto misero, né miserevole. È quando questo assurge da necessità a fine ultimo dell’esistenza umana, ed informa di sé ogni aspetto del vivere, che si trasforma in un morbo contagioso, che esalta tutti i difetti dell’essere umano inculcando l’idea malsana che tutto è possibile e lecito se porta a guadagnare.Per la verità il problema non è così semplice, o almeno non si manifesta in una sola forma immediatamente analizzabile. Certamente, però, profitto e soddisfacimento dei desideri (o interessi?) sono le basi più importanti e più solide su cui il sistema si regge.La mia analisi sarà, per forza di cose, parziale e limitata ad ambiti che più mi hanno colpito o che ritengo essere di importanza maggiore rispetto ad altri, ma una cosa risulterà sempre chiara alla fine, a voler condividere il mio ragionamento: non si potrà avere la società migliore e più umana che da più parti si auspica senza una ridefinizione, entro confini meno estesi in termini di importanza, dei concetti di profitto e desiderio individuale. E si capirà come spesso quelli che io chiamo desideri siano a sproposito (ma artatamente) chiamati, dalle vestali del falso dio che governa il sistema, con il sacro nome di diritti.
Buona lettura.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Prova.

Anonimo ha detto...

Complimenti!