martedì 3 luglio 2007

L'inquietante bellezza dell'italianità. Cap. 1: Ciampi

Inauguriamo con il presente una serie di articoli sugli aspetti più curiosi, anche spesso non edificanti, dell'italianità. Il tutto, nelle intenzioni di chi scrive, dovrebbe avere un taglio ironico ma qualora questo proposito non venisse rispettato sappiate che non sarà stato uno scarso rispetto verso il lettore ma solo un'eccesso di passione civile e politica a causare l'intoppo.
L'italianità, per come la intende il sottoscritto, è quel coacervo di caratteristiche positive e negative che distinguono un popolo, l'italiano appunto, dal resto della specie umana e particolarmente è un insieme di atteggiamenti, modi di pensare, di vivere e di rapportarsi col prossimo che non trovano facilmente riscontro in altri contesti socio-culturali nazionali. Se è vero che nella nostra italianità sta il segreto della nostra grandezza come popolo, è altrettanto vero che in essa si fondano le mille miserie e meschinità delle nostre (italianissime) individualità.

Ciampi e i 55 anni (degli altri...).

Immaginate un presidente americano, ma potrebbe essere anche inglese, tedesco o olandese, che a 85 anni e dopo una carriera politica svolta ai massimi livelli, si becca la carica di senatore a vita dovuta ai suoi trascorsi e nella fattispecie al suo mandato come Presidente della Repubblica. Naturalmente è solo un esempio quindi faremo finta che le differenze a livello di architettura costituzionale non esistano e che anche negli USA, in Germania o in Olanda vi sia la medesima organizzazione dello Stato che c'è in Italia. Egli, il nostro ipotetico ex-presidente, è stato anche capo del Governo, ministro e perfino Governatore della Banca d'Italia. Dopo questa carriera, inarrestabile e certamente costruita con meritoria costanza, ma altrettanto certamente giunta fino a tardissima età, l'onestà intellettuale avrebbe imposto un opportuno silenzio riguardo a certi temi come l'età del ritiro dalla politica attiva. Siamo sicuri che in un'altro Paese, civile, magari in uno di quelli sopra citati, sarebbe successo questo. Ed invece no: siamo in Italia e quindi, una volta esauritesi le possibilità per il tutt'altro che ipotetico personaggio in questione di ridiventare Presidente del Consiglio o ministro a causa dell'eta avanzata, egli si sente in dovere di dettare regole riguardo allo svolgersi dei cicli di vita di quello strano essere che è l'homo politicus, imponendogli addirittura un'età per il ritiro assolutamente prematura: 55 anni, ben 30 di meno rispetto alla sua attuale permanenza su questo pianeta. E questo mentre si levano insistenti voci, per il bene delle patrie finanze e del futuro della nostra sventurata generazione post Prima Repubblica, a favore di un innalzamento dell'età pensionabile...* Quindi, secondo il nostro illustre personaggio, un giudice, un avvocato, un medico, un idraulico dovrebbero poter restare attivi molto più a lungo rispetto a chi, furbetto, avrà scelto la politica e quindi lo svolgere il "servizio dei servizi", quello che se ben svolto agevola l'effettuarsi di tutti gli altri. Quest'ultimo invece dovrebbe tirarsi indietro proprio quando il vigore fisico ancora più che sufficiente si incontra con l'esperienza che, seppur al contrario mai sufficiente in senso assoluto, è ormai bastante ad affrontare con relativa sicurezza le problematiche quotidiane, le insidie e gli obblighi del fare politica e quindi dell'occuparsi della cosa pubblica. Proprio in questo momento dovrebbe, a sentire il Nostro, decidersi per un'auto-annullamento di sè... Questo risolverebbe i problemi della politica italiana: un continuo ricambio di uomini con in mente non il valore degli stessi, non l'esperienza acquisita in tanti anni, non la capacità di mediazione che le conoscenze così a lungo coltivate hanno naturalmente donato, ma solo l'età. Meglio allora un incapace di 45 anni che un grand'uomo di 65? Il tutto mi ricorda molto la pubblicità del Vulture che imperversa sui nostri schermi in questa caldissima estate, espressione di un rifiuto della naturalità dell'invecchiamento chiaramente sintomatica di un malessere sociale e culturale tipico delle sazie ma disperate società del benessere.
Noi, nel nostro piccolo, pur non essendo presidenti, ministri, nè senatori a vita (cosa che, non lo neghiamo, ci faciliterebbe non poco l'esistenza...) pensiamo che la malattia cronica, e gravissima, che affligge la politica italiana non sia curabile solo con un'azione tendente ad un generico abbassamento dell'età di entrata, e non di uscita che è cosa ben diversa, nell'agone politico, abbassamento al quale peraltro siamo ben favorevoli. Riteniamo piuttosto che la vera soluzione del problema, ormai improcrastinabile vista la disperata condizione in cui versa la politica italiana, sia quella di rendere realtà e non pura definizione virtuale quella di cui sopra, relativa appunto alla politica: il servizio dei servizi. Servizio nei confronti della comunità, del singolo realmente bisognoso, che non è un numero ma una persona, servizio nei confronti della Nazione. Se la politica non si avvicinerà anche solo in parte ad essere questo, senza quindi un effettivo mutamento culturale e di mentalità, ogni altra modifica legislativamente imposta sarà solo un demagogico palliativo ad uso e consumo dell'opinione pubblica da soddisfare, ma il problema rimarrà senza soluzione e la malattia senza cura, con tutte le conseguenze del caso.
Grazie quindi al nostro caro ed italianissimo ex-Presidente per il consiglio e la disinteressata raccomandazione. Crediamo però che avrebbe dovuto pensarci prima. Magari anche solo sette o otto anni fa...

* Spero si legga fra le righe l'ironia che il sottoscritto vorrebbe esprimere.

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